Una recente indagine dell’Ufficio studi CGIA di Mestre ha messo in evidenza gravi ritardi da parte degli enti pubblici nel pagamento dei fornitori. Un malcostume che è valso al nostro Paese il deferimento da parte della Commissione Europea nel dicembre 2017, perché il sistematico ritardo con cui le Amministrazioni pubbliche italiane effettuano i pagamenti nelle transazioni commerciali è in palese violazione delle norme europee in materia di pagamenti.
Ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione: l’indagine della CGIA
L’indagine è stata realizzata estrapolando i dati relativi agli Indicatori di Tempestività dei Pagamenti (TIP) e l’ammontare dei debiti commerciali delle principali amministrazioni pubbliche.
I dati dicono che, ad esempio, nel 2018 l’Inps ha registrato un ITP di +10,13, che vuol dire che l’istituto ha liquidato i propri fornitori con oltre 10 giorni medi di ritardo rispetto alle disposizioni previste dalla legge in materia di tempi di pagamento. Tutto ciò, al 31 dicembre 2018, ha contribuito a produrre un debito commerciale complessivo nei confronti dei fornitori pari a 157,2 milioni di euro.
Molto peggio fa l’Inail, che nel 2018 riporta un ITP (riferito al 4° trimestre 2018) di +54,45, ovvero quasi 2 mesi di ritardo per saldare i propri conti. La CGIA segnala, inoltre, che a distanza di quasi 5 mesi l’Inail non abbia ancora pubblicato l’ammontare complessivo del debito maturato al 31 dicembre 2018.
Anche a livello governativo, quasi la metà dei Ministeri presenta un valore medio dell’ ITP molto elevato. La situazione più critica si registra alla Difesa, che l’anno scorso ha accumulato 67 giorni di ritardo e 313,2 milioni di euro di debiti. Due mesi di ritardo anche per il Ministero dell’Interno, poco più di un mese per quello dell’agricoltura. I più rapidi sono invece Ministero dell’istruzione, Esteri e Giustizia, che hanno pagato ben prima della scadenza prevista per legge. Anche l’Anac, Autorità Nazionale Anticorruzione ha anticipato i pagamenti di quasi 13 giorni e al 31 dicembre 2018 aveva azzerato tutti i debiti commerciali.
Tra le Regioni, fanalino di coda è la Sicilia, con un ITP di +29,76 giorni, mentre la più virtuosa è la Lombardia, che paga in anticipo di circa 12 giorni rispetto ai tempi previsti dalla legge e che al 31 dicembre 2018 non registrava alcun debito nei confronti delle imprese fornitrici.
Cosa possono fare le aziende se gli enti pubblici pagano in ritardo?
Il rispetto delle scadenze dei tempi di pagamento è di cruciale importanza per il buon funzionamento dell’economia nazionale e rientra nel rispetto delle direttive europee in materia di pagamenti dei debiti commerciali. L’introduzione della fatturazione elettronica, obbligatoria per tutte le pubbliche amministrazioni dal 2015, ha ridotto il numero delle pubbliche amministrazioni che paga i fornitori in ritardo.
Attraverso la Piattaforma dei crediti commerciali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze fa un monitoraggio costante del pagamento dei debiti commerciali delle oltre 22.000 amministrazioni pubbliche registrate.
La Piattaforma acquisisce in modalità automatica, tutte le fatture elettroniche destinate alle PA e registra i pagamenti effettuati. Questa Piattaforma è utile anche per le imprese che subiscono il ritardo dei pagamenti, e che, anche a causa di questo, faticano ad accedere alla liquidità. Tramite questo strumento, infatti, le aziende e i professionisti titolari di crediti commerciali possono chiedere all’amministrazione debitrice di “certificare” il debito, con indicazione della data prevista di pagamento.
Grazie alla certificazione, il credito è considerato affidabile dagli intermediari finanziari ed il fornitore può ottenere liquidità attraverso la cessione ad un istituto di credito a condizioni più favorevoli rispetto ai normali crediti commerciali. In alternativa, può utilizzarlo in compensazione con somme iscritte a ruolo.
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’economia, a dicembre 2018 le oltre 33.000 imprese registrate ai fini della certificazione hanno presentato circa 169.000 istanze di certificazione per un controvalore certificato di oltre 8 miliardi di euro, di cui 2,4 miliardi smobilizzati presso intermediari finanziari.
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