Non basta investire in macchine e sistemi avanzati per automatizzare l’attività industriale. La tecnologia, infatti, è fondamentale ma non sufficiente a creare valore e vantaggi competitivi, se manca una strategia complessiva ed una visione d’insieme che consentano di massimizzare l’investimento.
Sembra scontato, eppure, l’indagine Advanced Robotics in the Factory of the Future condotta dal Boston Consulting Group fa emergere una contraddizione nella rivoluzione 4.0.
Molti robot di seconda generazione in azienda, pochi piani di adozione
L’indagine della multinazionale americana di consulenza ha coinvolto 1314 dirigenti di imprese produttive di 12 Stati diversi, tra cui l’Italia.
Per il 52% dei dirigenti intervistati a livello globale le tecnologie 4.0 diventeranno una parte essenziale della produzione industriale entro il 2025 e ben l’86% intende impiegarli nel proprio sistema produttivo entro 3 anni, con un picco del 91% tra le imprese tecnologiche.
Nella classifica spicca l’India, con ben il 97% di imprese intenzionate a introdurre robot di seconda generazione entro 3 anni, seguita da Cina (96%), Germania e Francia (92%). L’Italia è poco sopra la media globale, con un 87%, percentuale che supera quella rilevata in Giappone (72%), Gran Bretagna (75%), Stati Uniti (80%).
I numeri attestano che è ormai sempre più diffusa la consapevolezza dell’importanza dei sistemi avanzati di robotica sulla produzione, per efficientare i processi produttivi, ridurre i costi e i tempi, incrementare la propria competitività.
Dall’altra parte, però, secondo i dati dell’indagine, c’è un gap tra le intenzioni e le azioni.
Sono poche infatti le imprese che hanno pianificato le tappe necessarie a convertire la produzione da metodi ‘tradizionali’ a processi 4.0, che richiedono un cambio nell’approccio alla produzione e nuove competenze. Solo il 20% delle imprese ha stabilito un piano di adozione, solo un 11% ha già introdotto con successo i robot di nuova generazione nelle fasi produttive. Le altre sono frenate dall’ attuale sistema di sviluppo delle nuove tecnologie, che solo dal 30% sono ritenute mature ed efficaci.
Tuttavia, in un ambito in cui i cambiamenti sono rapidissimi e repentini, stare ad aspettare potrebbe costare caro.
La grande sfida delle imprese: le competenze digitali
Il modello di produzione abilitato dalla robotica avanzata produrrà una riqualificazione della forza lavoro e una nuova organizzazione della fabbrica. Questo significa anche che sarà necessario riorientare le competenze dei lavoratori in ottica 4.0.
Secondo il BCG, le imprese devono cominciare ad adottare al più presto i processi necessari alla trasformazione digitale, partendo dall’ acquisizione di competenze al proprio interno. Facile a dirsi, meno a farsi, perché il processo formativo necessita di tempi lunghi.
Eurostat evidenzia che rispetto alla media EU28, che presenta un’incidenza di competenze digitali elevate presso la forza lavoro del 37%, l’Italia è ferma al 29%, dietro a Francia (33%), Spagna (37%), Germania (39%) e Regno Unito (50%). Anche l’Osservatorio sulle competenze digitali sottolinea che, nonostante siano ormai considerate da tutti un fattore strategico per la competitività, c’è ancora poca consapevolezza dell’importanza delle competenze digitali, così come poco diffusi sono gli skill nelle imprese, nelle pubbliche amministrazioni, nei cittadini.
Il problema delle competenze è duplice. Da una parte, le stesse aziende non hanno spesso gli strumenti, al loro interno, per valutare il loro fabbisogno di competenze 4.0.
Dall’altra, quando anche si sia riusciti ad individuare il profilo ricercato, si fa fatica a trovarlo sul mercato del lavoro. Tra le figure più difficili da reperire, infatti, ci sono robotic & automation manager, IoT expert ed engineer, cognitive computing expert, necessarie per rafforzare tutti gli ambiti tecnologici, dall’IoT ai Big Data.
Quello delle competenze digitali sarà, dunque, sempre più un tema centrale, su cui lavorare attraverso la formazione specialistica.
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