Si chiamano Eltif, European long term investment fund, i nuovi strumenti di risparmio gestito pensati per creare una nuova fonte di accesso al credito per le PMI, alternativo a quello bancario. Una ratio simile a quella che ha dato vita ai Pir, rispetto ai quali, però, gli Eltif si differenziano per una normativa un po’ più complessa che ne circoscrive il raggio di azione.
Si tratta di fondi d’investimento che possono destinare il loro portafoglio a strumenti finanziari non quotati in borsa, emessi per lo più da piccole e medie aziende, attive specialmente nei settori delle infrastrutture, dell’energia e dei trasporti.
Ad istituirli è stato il regolamento UE numero 760 del 29 aprile 2015, pubblicato il 19 maggio 2015 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. In Italia, il decreto legislativo 233/2017, entrato in vigore il 28 febbraio 2018, ha adeguato la normativa nazionale alle disposizioni europee. Nei giorni scorsi, il decreto Crescita ha fissato le regole relative agli incentivi fiscali: il 2019 dovrebbe dunque essere l’anno dell’avvio dei primi Eltif in Italia.
Come investono gli Eltif
Per raggiungere l’obiettivo di convogliare finanziamenti alle piccole e medie imprese, sono state previste alcune regole di investimento.
In particolare, il 70% del capitale degli Eltif deve essere impiegato in investimenti a lungo termine nel capitale di rischio (azioni) o in quello di debito (obbligazioni) di aziende europee che rispettano i seguenti requisiti:
- Capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro;
- Settore di appartenenza diverso da quello finanziario;
- Sede in uno stato dell’Unione europea o in altro Stato che soddisfi determinati requisiti in termini di normative su riciclaggio, antiterrorismo e fisco.
Il restante 30% può essere destinato ad attività diverse dagli investimenti a lungo termine, al netto di alcuni limiti.
Sono ammissibili all’investimento attività reali (anche immobili commerciali o residenziali) di valore superiore a 10 milioni di euro, purché generino un beneficio economico e sociale che “contribuiscano alla crescita intelligente, sostenibile e inclusiva o alle politiche energetiche, regionali e di coesione dell’Unione Europea”.
Per favorire una maggior diversificazione di portafoglio, il regolamento europeo prescrive che il patrimonio di un Eltif non possa essere investito in percentuale maggiore del 10% in strumenti emessi da una singola impresa, in singole attività reali, e non più del 5% in eligible asset ai fini della direttiva UCITS emessi da un unico organismo.
Inoltre, per la stessa ragione, la capacità dell’Eltif di operare quale fondo di fondi, investendo in quote o azioni di altri fondi Eltif, è limitata ad una percentuale non superiore al 20% del valore del capitale del fondo.
Quali incentivi fiscali per gli Eltif?
La grande differenza rispetto ai Pir è che per gli Eltif il regolatore europeo non ha previsto incentivi fiscali.
Tuttavia, ci ha pensato il legislatore italiano ad individuare una leva fiscale che può rendere appetibili questi strumenti. Così, col decreto crescita è stata prevista la detassazione dei capital gain per le persone fisiche che investono somme massime di 150 mila euro annui e 1,5 milioni complessivi, per un periodo minimo di 5 anni
L’agevolazione entrerà in vigore a partire dal 2020 in via sperimentale, «ma l’obiettivo è sicuramente quello di estendere i benefici alle persone giuridiche» come ha affermato l’onorevole Giulio Centemero, relatore al Dl Crescita.
Rispetto alle ipotesi iniziale, non è prevista la detrazione Irpef del 30% della somma investita in Eltif per le persone fisiche e la deduzione Ires di pari percentuale per le persone giuridiche, per mancanza di copertura finanziaria.
Le prime stime indicano che, attraverso gli Eltif, potranno arrivare circa 7 miliardi di euro in un anno.
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